Quanto conta l’esperienza pratica nella formazione professionale?
Chi ha studiato un argomento in ambito universitario si sente frequentemente carente sulla parte pratica, applicativa. Da questa sensazione deriva in maniera diretta o indiretta la consapevolezza di non essere pronti, non appena terminati gli studi universitari, ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Questa spiacevole sensazione, che potrebbe essere naturale ma ingiustificata in molti ambiti di formazione, diventa un gap di competenza quando si completano curricula formativi per le professioni del digitale.
La consapevolezza di non essere pronti per il mondo del lavoro appare dunque in questo caso una saggia valutazione sulle proprie potenzialità al termine degli studi universitari.
Chi ha appreso un “mestiere” sul campo, quindi possiede l’esperienza pratica, si rende spesso conto che gli manca il quadro d’insieme. Ovvero non possiede lo sfondo metodologico e procedurale nel quale inserire le attività che normalmente fa. Sente di dover apprendere un vocabolario tecnico, dare un nome condiviso alle strategie che usa, mettere a sistema una serie di task disconnessi. Sente di doverlo fare perché non è abbastanza preparato per scalare a livelli superiori di professionalità. Nel concreto non può gestire commesse più grandi, più complesse o interdisciplinari.
Vi sembrano due problematiche comuni, avete forse fatto voi stessi esperienza di una di queste due situazioni di impasse? E’ molto probabile se operate o volete iniziare ad operare come professionisti del digitale. Siamo di fronte ad un bivio “classico”: è più efficace un percorso di formazione accademica o la pratica sul campo?
Voglio raccontarvi la storia di “fake news” del mondo dei modelli di apprendimento.
L’ esperienza pratica nella formazione: il punto di vista di Edgar Dale
Nel 1946 Edgar Dale professore presso l’università dell’OHIO, con un passato in Kodak, pubblicò un libro dal titolo “Audio-Visual Methods in Teaching”. In questo testo Dale indagava a fondo l’utilizzo degli strumenti audio e video nell’insegnamento. In particolare Dale insisteva molto sul concetto che più sensi sono coinvolti nell’apprendimento, maggiore è la nostra capacità di ricordare.
Nel corso degli anni, ciò che è rimasto dell’opera di Dale è il famoso Cone of experience, una rappresentazione visiva che mostra la progressione delle esperienze di apprendimento dal concreto all’astratto.
Il cono di Dale è stato manipolato negli anni, secondo molti autori impropriamente, fino a diventare il Cono dell’Apprendimento. In questa versione rivisitata, alle esperienze di apprendimento vengono associate delle percentuali di efficacia nella memorizzazione. E questa è la fake news, perché Dale non solo non aveva associato quantità numeriche alle attività formative, ma aveva anche avvertito sulla natura esemplificativa del suo modello (per lui un semplice supporto visivo).
Rimanendo fedeli all’intuizione di Dale, alla base della piramide ci sono 3 attività didattiche che restano saldamente ancorate all’esperienza concreta: le esperienze dirette sul campo, le esperienze forzate o simulate e le esperienze drammatizzate.